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Birra – Caratteristiche e Proprietà

Non credo che gli italiani, grandi appassionati di vino per storia e costume, sappiano esattamente cosa sia la birra.
I grandi produttori nazionali ed europei si sono lanciati all’attacco del mercato italiano prima sottolineando la genuinità della bevanda, poi dicendo che non occorreva avere sete per berla e quindi propinando ai consumatori le sciocchezze sulla bionda, come se bere un bicchiere di birra rappresentasse il massimo della realizzazione sociale, personale e sessuale. Un vero e proprio status symbol. Il risultato di queste campagne pubblicitarie è che l’acquisto della birra ormai avviene, d’impulso, soprattutto d’estate, credendola una bevanda dissetante, cosa non vera, e le xera, cosa altrettanto falsa.

La sua composizione
La birra è composta per il 90% di acqua, poi di malto di orzo (in quella italiana è permesso anche il malto di riso, mais o altri cereali), luppolo, che conferisce il gusto amaro, e lieviti per la fermentazione alcolica.
Il tipo di birra è definito dai gradi saccarometrici (cioè la quantità di estratto del mosto di partenza) che sono diversi dai gradi alcolici e corrispondono all’incirca alla loro metà.
La birra normale deve avere almeno 11 gradi sacc., la speciale 13 gradi e quella a doppio malto 15.
E inoltre vietata l’aggiunta di zucchero o succhi di frutta, coloranti o conservanti.
Non è ammessa l’aggiunta di alcol, sostanze schiumogene o amare diverse dal luppolo.
Quindi, come vedete, si tratta di una bevanda abbastanza naturale.
Un litro di birra contiene 2 gr di proteine, 35 gr di zucchero, 1,6 gr di minerali (fluoro, potassio, magnesio) e vitamine in tracce per un totale di 450 calorie. Non poche.
Anche la non poca anidride carbonica presente suggerisce di berla con moderazione.
L’unico conservante ammesso per legge è l’anidride solforosa (fino a 20 mg per litro). Si tratta di un additivo diventato quasi inutile ai nostri giorni assodato che la birra viene pastorizzata prima di essere messa in commercio.

L’università del Sussex ha avanzato l’ipotesi che la quantità di sodio e di anidride solforosa, usata appunto come conservante, aggiunta al tasso alcolico della bevanda stessa possa far insorgere dopo mezz’ora una sete ancora maggiore di quella che si aveva prima di bere. E questo spiegherebbe l’assuefazione alla birra.
È più o meno lo stesso meccanismo funzionante per le limonate e le aranciate che anziché placare la sete la fanno aumentare grazie allo zucchero che contengono.

La birra analcolica
Un discorso a parte si deve fare per quelle birre apparse da poco e definite analcoliche.
Seguono il filone tanto di moda dei prodotti light, rappresentano il solito prodotto progettato a tavolino. Infatti la birra in questione in realtà non è analcolica, cioè senza alcol, bensì di poco al di sotto degli 11 gradi della birra normale. Le etichette la danno tra i 6 e gli 8 gradi saccarometrici.
Questa birra «leggera» si ottiene eseguendo le stesse operazioni della fabbricazione della birra normale, ma con una fermentazione più debole.
Il gusto naturalmente ne risente. Risulta una birra povera d’aromi, piatta, eccessivamente secca, metallica. Per coprire queste carenze i produttori suggeriscono infatti di berle più fredde delle altre. Un trucco che non sempre funziona. Perché allora pagare di più, per bere una birra dal gusto secco e raschiante?

La confezione: birra in lattina o birra alla spina
Chiara o scura, d’orzo o di altri cereali, ad alta o a bassa fermentazione, molto o poco luppolata la birra arriva a noi in lattina, in bottiglia o alla spina.
La lattina di alluminio è l’ultima nata tra i contenitori di birra. Ha molte qualità: è leggera, infrangibile, non fa passare la luce, occupa meno spazio della bottiglia durante il trasporto, si raffredda facilmente, è mono-dose.
L’unico neo è rappresentato dal fatto che prima della chiusura della lattina, la birra perde un po’ del suo gas naturale, prodotto dalla fermentazione, e quindi si deve aggiungere anidride carbonica.
La bottiglia invece, anche se scura, lascia passare la luce che a lungo andare danneggia la birra.
Per questo per le birre più pregiate vengono usate bottiglie di vetro molto scuro o in ceramica o in gres del tutto opachi.
Ma tra vetro e lattina non c’è molta differenza: il vero salto di qualità si ha con la spina.
Le birre confezionate in lattina o in bottiglia infatti, per il lungo periodo che passa tra la produzione e l’uso, i lunghi viaggi, gli sbalzi di temperatura, vengono tutte pastorizzate. Quelle alla spina invece dovrebbero essere vive, fresche e conservare tutte le caratteristiche naturali.
Se volete un bicchiere di birra genuino, vale la pena di fare quattro passi in più e scegliere un bar che tenga sotto il banco il fusto sempre pronto.
Un’altra garanzia data dalla spillatura dal fusto è quella della freschezza. Un fusto, una volta iniziato non conserva la birra contenuta più di due o tre giorni, quindi il prodotto è sicuramente fresco.
Dato che in Italia non si hanno elevati consumi di birra come in Germania o in Francia, i produttori si sono adeguati al nostro mercato e anziché fusti da 50 litri adoperano fusti da 30. La birra, dunque, non tollera invecchiamento.
Figuratevi dunque noi, poveri consumatori, che rischiamo di bere della birra vecchia anche «solo» di un anno e mezzo e che, visto il trattamento, potrebbe essere bevuta anche oltre, benché ormai morta.
Bastano due o tre mesi di imbottigliamento per farle perdere vivacità e freschezza. Si tratta di scadimenti poco percettibili, colti solo dagli intenditori, ma che tutti dovrebbero imparare a riconoscere.
Quindi diciotto mesi sono troppi. Non resta che esigere da parte dei produttori la data di imbottigliamento sull’etichetta e, per ora, fare il solito conto alla rovescia dalla data di scadenza.

Le etichette
In molte etichette che abbiamo analizzato, sia di birre normali che extra, non si capisce assolutamente di che tipo di birra si tratti, dove sia stata prodotta, se sia italiana o straniera.
Le indicazioni sono riportate in tutte le lingue straniere possibili, anche in caratteri cirillici, gotici e arabi, i gradi sono scritti così in piccolo che neppure con una lente d’ingrandimento si riescono a decifrare.
In conclusione
Si tratta di una bevanda molto calorica, non leggera, inadatta al pranzo e alla cena per la troppa quantità di anidride carbonica che contiene (questo discorso vale anche per le cole) e il cui aroma, con il retrogusto amaro o secco la renderebbe più adatta per spuntini leggeri o come aperitivo.
Si beve fredda sui 5 gradi con schiuma abbondante.
Se vi piace, potete continuare a bere la birra.
Ora sapete quante calorie contiene, perché vi gonfia lo stomaco e vi fa girare la testa se la bevete a digiuno, al posto dell’acqua.
Sarebbe una bevanda invernale, ma la temperatura a cui viene servita scoraggia i consumatori.
Non è peggiore di aranciate e cole, anzi, il suo contenuto è molto più nutritivo.

Come si fa la birra
Le materie prime, indispensabili per la fabbricazione della birra, sono fondamentalmente quattro: l’orzo, l’acqua, il luppolo e il lievito. Il processo di produzione inizia con l’inumidimento dell’orzo in grandi contenitori colmi di acqua, che viene cambiata di frequente. L’orzo viene tenuto così per uno o due giorni, durante i quali assorbe acqua fino al 3545% del suo peso.
Tolto dalle vasche l’orzo germoglia spontaneamente per circa 810 giorni.
In questa fase si sviluppano nel chicco gli enzimi che trasformano l’amido in zuccheri: si ottiene così il malto.
Quando la germinazione raggiunge lo stadio voluto, il malto viene essiccato e poi sottoposto a tostatura a una temperatura di 85-90 gradi.
Quindi il malto viene pulito e macinato per ridurlo a farina di malto. La farina viene poi impastata con l’acqua e riscaldata lentamente fino a portarla a ebollizione.
In questa fase avviene il processo di «saccarificazione» durante il quale le sostanze amidacee residue si trasformano in zuccheri. Il mosto ottenuto viene filtrato e separato dalle trebbie (bucce del malto), raccolto nella caldaia di cottura e quindi portato a ebollizione con l’aggiunta del luppolo. Dopo il controllo del grado saccarometrico del mosto, quest’ultimo
viene separato dal luppolo e poi raffreddato attraverso le serpentine di refrigerazione, dove viene portato alla temperatura adatta per la fermentazione: 5-6 gradi. Al mosto viene aggiunto il lievito e poi messo nei tini di fermentazione dove parte degli zuccheri si trasformano in alcol e anidride carbonica.
La durata della fermentazione varia tra gli 8 e i 12 giorni, a una temperatura che viene regolata dai 5 ai 13 gradi.
Con l’inizio della fermentazione il mosto prende il nome di «birra». Dopo la fermentazione la birra viene raccolta in serbatoi di deposito dove il lievito continua a fermentare per 2 o 3 mesi a una temperatura di O gradi.
L’ultima operazione, prima dell’imbottigliamento (o in lattine e fusti) è la filtratura.

Dieci varietà
Come abbiamo scritto all’inizio gli italiani non sono grandi bevitori, né grandi intenditori di birra: le diverse varietà sono difficili da distinguere e si limitano alla scelta del colore: chiara, scura, rossa.
Ecco un breve elenco per capire di più i vari tipi.
ALE. Birra inglese di alta fermentazione caratterizzata da un sapore molto deciso. Ce ne sono di diversi tipi: bitter, brown, cream, india pale ale, pale ale, scotch ale. La più conosciuta è la pale ale con circa 5 gradi alcolici.
BOCK. Tedesca di bassa fermentazione, forte, contenuto alcolico medio. C’è chiara e scura, con almeno 6 gradi.
DORT. Abbreviazione di Dortmund, la città di origine. Bassa fermentazione, retrogusto gradevole, neutro e poco riconoscibile: almeno 5 gradi.
EXPORT. Birra tedesca a bassa fermentazione, più secca di una lager e meno aromatica e amara di una pilsner. Gradazione alcolica piuttosto elevata.
LAGER. Con questo termine si definiscono le birre di bassa fermentazione: sia la Bock, sia la Dort sono lager. Da 4 a 5 gradi.
PILSNER. Di bassa fermentazione, chiara, con intenso sapore di luppolo. L’originale è cecoslovacca e ha una qualità salina particolare che la rende molto digeribile. Si definiscono pils le lager chiare, secche a media gradazione, (4-5 gradi).
PORTER. Londinese ad alta fermentazione, quasi nera e molto amara. Da 5 a 7 gradi.
PREMIUM. Appellativo che generalmente distingue le birre Pils più pregiate. Da 5 a 5,5 gradi.
STOUT. Simile alla Porter ma più forte e corposa. Ne esistono
di due tipi: la Guinnes, più secca e la Mckerson, inglese, più dolce. Da 6 a 7 gradi.
TRAPPIST ABBEY. È una ale forte, con sedimento, preparata dai monaci trappisti in Belgio e Olanda. Tra i 6 e i 10 gradi.

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Roberta Verga

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Roberta Verga è un'appassionata di casa, lavori domestici e fai da te, con un particolare interesse per i rimedi naturali. Sul suo sito, condivide guide e consigli utili per migliorare la quotidianità domestica in modo sostenibile e naturale. Roberta è una sostenitrice dell'utilizzo di rimedi naturali per la cura della casa e per affrontare i piccoli problemi quotidiani.

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